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Woodpecker_copertina

La WOODPECKER

Credo che ogni architetto, nel suo percorso formativo e professionale, incontri dei progetti, delle figure o dei pensieri che lo segnano più di altri; che fanno scattare qualcosa, che riescono a “sbloccare” dentro qualcosa difficile da spiegare, ma capace di cambiare per sempre il modo in cui si affrontano i progetti futuri. Sensazioni che valgono più di cento lezioni, più di decine di notti spese a studiare e disegnare. Per me, la Woodpecker è stata uno di questi episodi: una sorta di epifania.

La prima volta. Non ricordo bene come venni a conoscenza della Woodpecker — probabilmente per un passaparola in università — ma ricordo molto bene il giorno in cui ci andai per la prima volta, assieme alla mia migliore amica, allora compagna di studi e, ancora oggi, di vita.

Andammo lì in un caldo pomeriggio d’estate, nell’agosto del 2017, senza sapere bene cosa ci aspettasse. Dalla statale adriatica il navigatore ci faceva svoltare a destra, in una stradina sterrata in mezzo ai campi coltivati. Era un luogo strano in cui pensare una discoteca, lontano dalla movida della riviera, dagli alberghi, dalla vita estiva. La vegetazione abbondante e l’assenza di qualsiasi tipo di segnale, o di segno, ci fece pensare che non potessimo trovare altro che desolazione in quel posto, finché quella che sembrava la cima di un ombrello gigantesco in calcestruzzo fece capolino oltre la duna che ci trovammo davanti: eccola, la Woodpecker.

Subito scorgemmo delle scalette trasandate, le imboccammo e in pochi secondi ci ritrovammo sulla cresta di una specie di cratere, perfettamente rotondo, circondato da vegetazione a perdita d’occhio. All’interno, all’altra estremità, la cupola: immobile, delicata, aliena, calata lì, tra i canneti che emergevano dalle vasche circolari, ritagliate nella pavimentazione in marmo.

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Un luogo sorprendente, un paesaggio surreale, un’altra dimensione.

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​La sensazione speciale che provai, tra stupore e estraniamento, si amplificò ancora entrando nella struttura. Il materiale delle vele, che da fuori sembrava un sottile strato di cemento, era in realtà qualcosa di traslucido. La luce passava tra le nervature, mettendo in risalto la patina lasciata dal tempo e facendo emergere con forza le bellissime figure mostruose disegnate sopra le arcate d’ingresso, unici abitanti di quel luogo misterioso. In alto, al centro, un occhio sul cielo.

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Quel giorno sperimentai un nuovo tipo di architettura, un’architettura che va oltre l’aspetto funzionale e quello estetico, sperimentai le potenzialità di questa disciplina nel creare non solo spazi, ma anche sensazioni. Spero di poter progettare, un giorno, qualcosa di simile.

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La breve prima vita della Woodpecker. La storia della Woodpecker inizia nel 1952, quando la famiglia De Maria, residente estiva a Milano Marittima dagli anni ’30, decide di aprire un esclusivo locale notturno nel cuore del paese, il Woodpecker Night Club, appunto. Il locale ebbe da subito molto successo e si affermò come uno dei più in voga della Riviera Romagnola. Negli anni del dopoguerra, il turismo in tutta la riviera cresceva inesorabile e Milano Marittima non faceva eccezione: nuovi alberghi e nuove residenze continuavano a sorgere e ben presto il Woodpecker Night Club si trovò circondato da turisti che cominciavano ad essere infastiditi dal rumore e dal traffico generato dal locale. È così che la famiglia, in accordo con il Comune, decise di trasferire il night club nell’immediato entroterra, ed è così che nacque la Woodpecker che conosciamo oggi.

Nel 1966, la famiglia De Maria decide di affidare all’architetto faentino Filippo Monti il progetto della nuova sede.

Ricordo che andai a Faenza a casa di Monti e mi fece vedere una vaschetta circolare con dentro della carta tagliata a forma di stella e intorno della stagnola, poi su un lato posò un colino capovolto, e mi disse: Questo, Aurelio, è il tuo Woodpecker… Io accettai con grande entusiasmo.
- Gherardo De Maria

La storia della Woodpecker raccontata dal proprietario, Gherardo De Maria

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In questo articolo troverete le parole di Gherardo De Maria, ex proprietario dell'iconica discoteca,

dalle quali proviene anche la citazione soprastante.

Nell'articolo del blog di Cervia e Milano Marittima che raccoglie la sua storia, trovate anche le foto della prima Woodpecker, alcuni disegni originali del progetto dell'architetto Monti e foto dell'iconica cupola ai tempi dell'inaugurazione.

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Filippo Monti è stato uno degli architetti più proliferi e apprezzati della seconda metà del ‘900 nella provincia di Ravenna. Al momento in cui gli venne affidato questo lavoro, aveva già realizzato alcune delle sue opere più interessanti, apprezzate anche da architetti di fama nazionale come Giuseppe Vaccaro e Luigi Figini. La sua architettura si basa su forme semplici, pure, riconoscibili, in linea con il movimento moderno che ancora influenzava l’architettura del tempo, ma la sua firma, la sua cifra stilistica stava nell’originalità delle composizioni e nella ricerca della plasticità.

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Alla base del progetto della Woodpecker c’è una forma semplice e potente: il cerchio.
Un cerchio perfetto, protetto da una duna, delinea l’area riservata al complesso, mentre vasche circolari, incise nella pavimentazione, generano lo spazio. Ma è nel cuore della composizione che questa geometria si compie pienamente: una piattaforma rotonda accoglie la pista da ballo, sovrastata da una semisfera traslucida in cui il cerchio si fa volume.

Volevo creare un occhio di cielo, come l’effetto delle saline. Dalla scalinata di marmo che permetteva di risalire l’argine, l’acqua delle vasche attorno alla cupola doveva riflettere l’azzurro del cielo, in contrasto con il marmo giallo di Siena, ora rarissimo, che allora comprammo come uno qualsiasi.
- Filippo Monti

Il confine tra terra e cielo, tra natura e costruito, tra interno ed esterno è sfumato, ambiguo, morbido, e la pista da ballo è forse la protagonista di questo gioco di compenetrazioni, grazie alla sua copertura traslucida: di giorno la luce entra e illumina uniformemente lo spazio, di notte la luce esce e rende la cupola una lanterna nel buio delle campagne. 

La cupola è, infatti, composta da spicchi in vetroresina traslucida, sorretti da una struttura ad ombrello costituita da tubolari in ferro rivestiti in alluminio. Si trattava di una struttura alquanto sperimentale per l’epoca, tanto che l’impresa esecutrice individuata per realizzare il lavoro fu una ditta costruttrice di barche, la Fabbri Ferrai di Forlì.

Completava il complesso un volume integrato con la duna nei pressi della pista, che ospitava vari servizi, tra cui il bar.

 

La Woodpecker aprì i battenti nel giugno 1968, con una bella festa di inaugurazione.

Ricordo il giorno della costruzione. Fu una lotta: trasportammo da Forlì le enormi falci realizzate da una ditta di barche da corsa, che dovevano reggere il rivestimento in vetroresina. Dovevamo montare tutto in un giorno. Non ce la facemmo per colpa di un tremendo temporale che arrivò verso sera. La cupola rimase a metà, una sorta di esedra. La notte, sentendo il vento, pensai che l’avremmo ritrovata in mare. Invece no, era là dove l’avevamo lasciata, più bella di prima. Quello fu il primo collaudo. Il giorno dopo chiudemmo tutto e completammo il lavoro, in tempi che oggi sarebbe impensabile rispettare.
- Filippo Monti

Purtroppo l’attività della suggestiva discoteca durò solo qualche anno: un incendio scaturito da un cortocircuito devastò  la struttura dedicata ai servizi, lasciando incolume soltanto l’iconica cupola. La famiglia presentò al Comune una proposta di ripristino con alcune modifiche, ma fu respinta perché ritenuta non conforme al piano regolatore, e così l’intero sito finì presto abbandonato e per molto tempo dimenticato.

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Layers. La rinascita della Woodpecker cominciò nei primi anni ’10 del nuovo secolo, quando il famoso street artist Blu scelse l’interno della cupola per una sua enigmatica opera: al di sopra delle arcate che collegano la piattaforma all’esterno, enormi figure mostruose, umanoidi e non, prendono vita sulle superfici traslucide della cupola, immergendo il visitatore in un’altra dimensione.

In nome di non so quale purismo, i writer non mi sono mai piaciuti. Eppure i lavori di questo Blu all’interno della cupola, mi sembrano interessanti. Di certo, il futuro del Woodpecker lo vedrei libero dalla corrosione della natura.
- Filippo Monti
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Dal 2015 in poi, l’organizzazione di una serie di eventi culturali portò alla riscoperta di questo magico luogo e all’attenzione dell’amministrazione pubblica, fino all’ufficiale riapertura nel giugno del 2023, a 55 anni esatti dalla prima inaugurazione.​

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Oggi la discoteca è stata restaurata e risistemata con delicatezza, ma non è più la stessa degli anni ‘60: la patina verdognola sulle lastre in vetroresina, l’opera di Blu che orna la parete interna, la vegetazione rigogliosa che circonda la duna; la Woodpecker oggi è più bella che mai.

Tre consigli per proseguire il viaggio: 

​Estratto dell'intervista realizzata da MAGNA all'architetto Monti

 

Estratto dell'intervista realizzata da MAGMA, svolta nell'abitazione di Faenza dell'architetto nel giugno 2017, in occasione del Modulo Fest.

Filippo Monti Architetto

di Franco Bertoni e Davide Rava

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Bellissimo volume dedicato alla figura e ai progetti dell'architetto Monti, pubblicato da Banca di Romagna nel 2009. Purtroppo non è più possibile l'acquisto, ma sono disponibili alcune copie nelle biblioteche della Romagna.

Woodpecker

Viale Nullo Baldini 20,

Milano Marittima (RA)​​

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Ovviamente il consiglio non può che essere di andare a vedere di persona la discoteca, oggi nuovamente in funzione!

Seguendo la pagina Instagram potrete trovare eventi e orari di apertura.

Tutte le citazioni di Filippo Monti presenti nel testo sono tratte dall'intervista realizzata da
MAGMA nel novembre 2015, di cui un estratto è pubblicato su 
www.gagarin-magazine.it.

Tutte le foto sono state scattate da me durante il sopralluogo del 2017.

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