LE COLONIE della costa romagnola

Molte si trovano sulle prime vie parallele alla costa, altre si affacciano sulla pineta, alcune sorgono direttamente sulla sabbia. Silenziose, immobili, spesso imponenti e austere, le colonie fanno da sfondo alla spensierata vita balneare che si consuma sul lungomare. Relitti di un passato non troppo lontano, osservano il presente senza più appartenervi, testimoni di un cambiamento che le ha lasciate indietro.
Alieni. La fitta infilata di hotel che incornicia la spiaggia di Milano Marittima, dal porto canale verso nord, a un certo punto si interrompe bruscamente, e con lei anche la distesa di lettini e ombrelloni che affollano il litorale. Qui, gli stabilimenti balneari lasciano spazio a una delle poche dune che ancora resistono lungo la costa, protetta da una folta pineta alle sue spalle; dietro alle prime file di pini, un’enorme struttura in decadenza domina lo skyline di questa insolita porzione di riviera: è la Colonia Varese. Spettrale, lugubre, tanto da essere stata scelta come ambientazione per il film horror Zeder negli anni ’80, perfetta nel ruolo con il suo enorme porticato scheletrico che svetta oltre le cime degli alberi. Un oggetto disturbante, fuori posto, che sembra essere stato calato lì per errore. Eppure magnetico, affascinante, impossibile da ignorare per chi passeggia sulla spiaggia.
Pochi metri più avanti, un'altra struttura aliena. Diversa dalla prima ma sorella, meno articolata e originale forse, ma perfino più imponente: è la Colonia Montecatini. Un’enorme parallelepipedo dall’evidente gusto razionalista, vuoto, immobile, silenzioso, che sembra vegliare sulla spiaggia in attesa di qualcosa che lo scuota, o che lo riporti in vita.


La Colonia Varese, inizialmente intitolata all’ufficiale Costanzo Ciano, è stata costruita tra il 1937 e il 1939 per volere della Federazione dei fasci di combattimento di Varese, su progetto dell’architetto Mario Loreti. La struttura è pensata come un idrovolante che atterra sulla spiaggia: ogni volume costituisce una specifica parte del velivolo. L’edificio fu utilizzato per la sua funzione originale soltanto per due anni: nel 1940 infatti, con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, venne convertito in ospedale di guerra e poi, nel 1944, utilizzato come carcere dai tedeschi che, prima di abbandonarlo, ne minarono il corpo centrale delle rampe, provocandone il crollo. Negli anni ’50 si iniziarono i lavori di ricostruzione, ma non furono mai terminati.
Progettata dall’architetto Eugenio Faludi, che non potrà partecipare all’inaugurazione del 1939 perché, in quanto ebreo, costretto a lasciare l’Italia in seguito all’emanazione delle leggi razziali, la Colonia Montecatini è un imponente edificio articolato in blocchi, dominato da un’alta torre di 53 metri, chiaro riferimento alla torre littoria. Come la vicina Colonia Varese, ospitò i giovani del regime per soli due anni per poi essere convertita in ospedale militare, e infine occupata dai tedeschi che, prima della ritirata, fecero saltare la torre. Nel dopoguerra i Monopoli di Stato assunsero il controllo della struttura e, dopo aver ricostruito la torre, benché di altezza minore, e risistemato la struttura, riaprirono la colonia tenendola in funzione fino al 1998.
Testimoni. Le colonie non sono solo luoghi da salvare, da reintegrare e reinterpretare in modo che tornino ad avere un ruolo attivo e vitale nello spazio urbano presente: sono anche preziosi documenti storici da consultare. Prendendo in prestito il termine con cui il professor Stefano Pivato definisce queste architetture nel suo libro “Andar per colonie estive”, le colonie sono “Monumenti che parlano del Novecento”. La loro posizione, la loro forma, la loro dimensione, il modo in cui sono state costruite, perfino il loro stato di conservazione, ci racconta qualcosa della società nella quale queste sono state realizzate, poi fiorite e infine invecchiate.
Le prime colonie marine vengono realizzate nella seconda metà dell’800 nelle coste liguri, toscane e romagnole con lo scopo di ospitare bambini affetti da malattie infettive respiratorie, soprattutto dalla scrofola, una variante della tubercolosi che colpiva soprattutto in tenera età. Fu in quegli anni, infatti, che la medicina scoprì le proprietà curative degli ambienti marini e ben presto, mentre nei centri delle località costiere si costruivano alberghi e villini a servizio del nascente turismo balneare del ceto borghese, ai margini venivano realizzate le prime grandi strutture per il ricovero e la cura dei fanciulli scrofolosi delle famiglie più povere. Si definiva così una distanza fisica, oltre che sociale, che avrebbe influenzato pesantemente lo sviluppo urbanistico delle località marittime della costa adriatica per tutto il ‘900.



La Colonia Murri è un imponente edificio in stile eclettico a firma dell’architetto Giulio Marcovigi. Realizzata nel 1911 per volere del famoso patologo Augusto Murri, a cui è intitolata, nella frazione di Rivabella, nell’estrema periferia sud di Rimini, riflette la tipologia architettonica ospedaliera dell’epoca: l’edificio è composto da quattro padiglioni disposti perpendicolarmente alla spiaggia, che ospitavano i dormitori e i refettori, e tre volumi di collegamento, che erano destinati a servizi e uffici. La struttura ha rappresentato per l’epoca un vero modello di innovazione tecnologica: tra le maggiori innovazioni per l’epoca vantava intercapedini d’aria per isolare i muri, termosifoni in ogni stanza e impianto di sollevamento dell’acqua potabile. Fu la prima casa di cura idroterapica costruita direttamente sulla spiaggia, ma la sua vocazione curativa svanì con l’arrivo del Fascismo all’inizio degli anni ’20, quando divenne colonia estiva per l’educazione dei balilla. Dopo la Seconda Guerra Mondiale cadde in disuso e, dopo vari tentativi di riqualificazione, tutt’oggi è in stato di abbandono.
Con l’avvento del Fascismo, queste strutture mutano totalmente la loro funzione: non sono più case di ricovero e di cura, bensì centri per il controllo e l’educazione delle nuove generazioni. Non cambia, però, solo l’utilizzo di questi luoghi, ma anche la loro architettura: mentre alcuni ospizi marini furono mantenuti e riutilizzati come colonie dal regime, molte strutture vennero costruite ex novo, per assecondare alcuni principi di composizione divenuti fondamentali. Le colonie diventarono un vero e proprio strumento di propaganda e consenso, attraverso cui comunicare i valori fondamentali dell’ideologia fascista: edifici giganteschi e monumentali, per stupire e meravigliare; composizioni con chiari rimandi a navi o velivoli da guerra, per evocare la modernità e la potenza del regime; piante a forma di B o di M, le iniziali del Duce, per richiamarne la sua onnipresenza; tempi di costruzione incredibilmente rapidi, per fomentare il mito dell’efficienza. Sono edifici spettacolari realizzati per la monumentalità e la memorabilità, ben più che per rispondere a esigenze pratiche.
La costa romagnola, la “spiaggia del duce”, è il luogo perfetto per ospitare le scenografiche colonie del regime e, infatti, qui se ne contano molte più che altrove: la Colonia Varese e la Colonia Montecatini di Milano marittima, la Colonia AGIP di Cesenatico, la Colonia Roma di Igea Marina, la Novarese di Rimini, Le Navi di Cattolica, tra le più spettacolari.

Vero e proprio capolavoro dell’architettura razionalista, progettata dal famoso architetto Giuseppe Vaccaro, la Colonia AGIP di Cesenatico è stata costruita tra il 1936 e il 1937. L’edificio si affaccia direttamente sulla spiaggia ed è di dimensioni gigantesche: si sviluppa su 5 piani ed è lungo 270 metri, ma il doppio ordine di pilotis e le vetrate continue, gli conferiscono un’inaspettata leggerezza. Durante la guerra fu convertita in ospedale militare, ma dopo la fine del conflitto tornò alla sua funzione originale. Nel tempo ha ospitato diverse attività e oggi è un complesso polifunzionale che comprende un ostello e spazi per svolgere diverse attività sportive.

La colonia della Federazione fascista di Novara, detta per questo “la Novarese”, si trova nella periferia sud di Rimini ed è un edificio lungo 117 metri dall'evidente richiamo all'immagine del transatlantico. I cinque piani dell'edificio sono collegati da una torre centrale alta 30 metri, contenente i corpi scala e ospitante, all’epoca, tre fari che riproducevano i colori della bandiera italiana, per essere avvistata con chiarezza anche dal mare. Dopo gli anni della guerra in cui fu utilizzata come deposito dalle truppe alleate, venne pian piano dismessa, fino ad essere definitivamente abbandonata nel 1961.
La colonia Le Navi di Cattolica
La Colonia Marina “XXVIII Ottobre” di Cattolica, oggi conosciuta come Le Navi, progettata nel 1933 dall’architetto Clemente Busiri Vici per la Fondazione “Figli del Littorio”, è uno dei più originali esempi di architettura fascista. Ispirata alla morfologia aeronavale, il complesso era composto da cinque edifici che evocavano navi, aerei e sommergibili, e poteva ospitare fino a 2.000 bambini. Inaugurata da Mussolini nel 1934, fu accolta con entusiasmo dalla stampa dell’epoca per il suo stile futurista e simbolico, ma non senza critiche sulla funzionalità. Dopo la guerra, la colonia cambiò nome e subì alcune modifiche e demolizioni, fino a diventare nel 2000 la sede dell’Acquario di Cattolica.
Le Città delle Colonie. Via Cristoforo Colombo, a Cesenatico Ponente, è lunga poco meno di 1,5 chilometri e corre parallela alla spiaggia. Gli edifici serviti da questa strada sono 44 e hanno tutti la stessa destinazione d’uso, quella di colonia estiva. L’area rappresenta la più grande delle Città delle Colonie rilevate lungo la costa Adriatica.
Nel secondo dopoguerra, le colonie subirono un nuovo e importante mutamento. Dopo la distruzione e il devasto degli anni del conflitto, i comuni iniziarono un’urgente pianificazione urbanistica per procedere rapidamente con la ricostruzione, mentre le famiglie erano alla disperata ricerca di speranza e stabilità: fu così che, da un lato, nacquero i piani regolatori basati sulla zonizzazione, attraverso i quali i comuni suddivisero il territorio in aree destinate ad una precisa destinazione d’uso; dall’altro, enti religiosi, amministrazioni e grandi aziende sentirono il dovere di “risarcire” le famiglie della classe operaia con politiche di welfare, tra cui il soggiorno in colonia per i figli. Nacquero in questo contesto le Città delle Colonie, quartieri costruiti quasi per intero a cavallo degli anni ‘50 nelle aree periferiche delle località costiere della riviera, popolati quasi esclusivamente da edifici con funzione di colonia estiva.
Complice il boom economico, è in questi anni che fu realizzata la stragrande maggioranza delle colonie estive che ancora oggi caratterizzano le località della costa (circa l’85% del totale).
Le nuove costruzioni, però sono ben diverse dalle “sorelle” d’epoca fascista: l’urgenza e la rapidità di progettazione e realizzazione portò inevitabilmente alla costruzione di edifici di scarsa qualità architettonica e costruttiva, essenziali e privi di identità, ad eccezione di rari casi. Tra questi casi isolati, la colonia per l’infanzia Sip-Enel di Riccione progettata da Giancarlo De Carlo e la colonia E.N.P.A. di Cesenatico progettata da un giovane Paolo Portoghesi: gli ambienti sono frutto di uno studio accurato sulla percezione dello spazio da parte dei bambini, le aperture derivano dalla volontà di un maggior rapporto tra interno ed esterno, la pianta è definita su un innovativo modello organizzativo degli spazi; anche i materiali e i rivestimenti scelti riflettono un atteggiamento volto all’attenzione e alla ricerca.
Tanto rapidamente le nuove colonie sono state costruite, quanto velocemente è iniziato il loro declino. Tra gli effetti del boom economico, oltre alla rapidità della ricostruzione e al progressivo aumento del benessere, alla fine degli anni ’60 si diffonde un “oggetto” destinato a cambiare le abitudini degli italiani: l’automobile. Le distanze si accorciano, le opportunità si moltiplicano: è il periodo in cui anche la classe operaia comincia a permettersi le vacanze in famiglia. Il turismo cambia ancora una volta, e per le colonie inizia un lento, inesorabile tramonto.




Nel cuore della stagione di rinnovamento architettonico degli anni Sessanta, la colonia marina ENPAS di Cesenatico, progettata da Paolo Portoghesi ed Eugenio Abruzzini tra il 1961 e il 1965, si distingue per un impianto compositivo articolato e ricco di riferimenti. La colonia è organizzata in tre volumi principali: un corpo dormitorio a sviluppo lineare verso il mare, una grande sala esagonale affacciata sulla spiaggia destinata a refettorio e riunioni, e un padiglione per l’infermeria. Le unità abitative, concepite per gruppi di 20 bambini, si dispongono a stella su tre livelli, generando un volume “proliferante” e aperto, che si contrappone alla rigida linearità delle colonie tradizionali. La circolazione è esterna, affidata a porticati e passerelle, e gli spazi interni sono messi in relazione con l’esterno anche attraverso dettagli architettonici evocativi, come le finestre sfalsate ispirate ai merli medievali. Il progetto riflette l’interesse per una dimensione ludica e avventurosa dello spazio, ma anche per una riflessione sulla memoria e sulle radici storiche del costruire.
Progettata da Giancarlo De Carlo tra il 1961 e il 1963, la colonia Sip-Enel di Riccione rappresenta un punto di svolta nell’architettura dell’infanzia. Abbandonando il modello autoritario della colonia tradizionale, De Carlo propone una struttura pensata a misura di bambino, dove l’organizzazione degli spazi favorisce libertà, socialità e autonomia. La colonia è articolata in “cellule verticali” autonome collegate da una corte aperta, ciascuna con camere, aree gioco, terrazze accessibili e soggiorni colorati. Ogni elemento è progettato per offrire ai piccoli ospiti diverse possibilità di relazione: dal gioco solitario, al microgruppo, fino alla comunità. L’architettura riflette un’idea moderna e democratica dello spazio educativo, influenzata dal pensiero del Team Ten e dal dibattito internazionale sul ruolo sociale dell’architettura.
Un patrimonio da interpretare. Oggi alcune colonie sono ancora utilizzate come tali, altre sono state recuperate e convertite ad un’altra destinazione d’uso, ma molte versano ancora in stato di abbandono e degrado: nella Città delle Colonie di Cesenatico Ponente, ad esempio, sono 17 su 44 le strutture in stato di abbandono da decenni; le bellissime colonie di De Carlo e Portoghesi sono inutilizzate e in stato di degrado, come anche le due imponenti strutture d’epoca fascista di Milano Marittima, la Novarese e la Colonia Murri di Rimini, e tante altre. In alcuni casi sono grandi strutture fatiscenti, in attesa di essere riscoperte e riconsiderate, spazi negati alla collettività che ci abita intorno; altre volte sono interi pezzi di città senza identità, luoghi delicati, difficili da gestire per la moltitudine di persone e società coinvolte, luoghi che avrebbero bisogno di essere reintegrati in un tessuto urbano misto, di uscire dalla zonizzazione alla quale sono stati condannati dai piani regolatori poco lungimiranti del dopoguerra.
Oggi le colonie sono una ferita aperta che le amministrazioni faticano a curare, ma rappresentano al contempo un’enorme opportunità di rinascita per quelle aree attualmente sottovalutate della nostra costa.
Tre consigli per continuare:
Raccolta di cartoline d'epoca
Il sito raccoglie l'enorme collezione di cartoline d'epoca del cervese Gianfranco Luciani, frutto di 50 anni di ricerca. Uno scorcio prezioso sulle località marittime della Romagna dello scorso secolo
scritto da Stefano Pivano e pubblicato dalla Società editrice il Mulino
Un piccolo e curato saggio che ci offre uno sguardo completo sul tema delle colonie estive, approfondendone il contesto storico-sociale e fornendo numerose testimonianze di chi quei luoghi li ha vissuti.
Uno degli itinerari proposti da IN LOCO, il museo diffuso dell'abbandono a cura dell'associazione Spazi Indecisi, che vi porta alla scoperta di alcune delle più affascinanti architetture d'epoca fascista che ospita la nostra costa.
per non perderti le ultime uscite e tutti gli approfondimenti!